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Cambogia: trekking nella jungla a Mondulkiri

9 minuti di lettura
Trekking in Cambogia nella jungla a Mondulkiri, ecco il racconto dell'esperienza di Emanuela durante uno dei suoi tanti viaggi nella provincia di Mondulkiri.

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Questo articolo è stato aggiornato il Aprile 4, 2016

Quando sono partita per la Cambogia, avevo un programma di viaggio solo mentale, nulla di organizzato.
Uno dei pochi punti fermi era quello di visitare la parte est del paese, la provincia di Mondulkiri, su cui, in rete, avevo trovato poche notizie, a parte le varie escursioni da poter fare in elefante.
Per questo mi sono detta che avrei scoperto molto in loco.

Mondulkiri-citta

Una volta arrivata a Phnom Penh ho prenotato nella guest house in cui alloggiavo, la Mama Veary Guesthouse, il trasferimento a Sen Monorom, capoluogo di Mondulkiri: durata prevista, cinque ore in minivan.

Il mezzo era moderno e nuovo, circa dodici posti, una bottiglietta di acqua per ogni passeggero inclusa nel biglietto, 12 dollari per cinque ore di viaggio che sono diventate sette. Perché? Perché l’autista si è fermato un’innumerevole quantità di volte per far rifocillare i locali che erano a bordo.

La scena era molto divertente, ogni tanto si fermavano nella panetteria di turno lungo la strada o presso i venditori ambulanti che proponevano uova nere, cose fritte strane, pesce essicato e altre prelibatezze locali: per tutto il tempo mi sono immaginata l’impossibilità dello stesso servizio da noi su un bus di linea.
Impossibile chiedere all’autista “ Hey, fermati un attimo qui che prendo un pezzo di focaccia al volo!”.

Mondulkiri-arrivo

Lasciando la capitale il paesaggio cambia radicalmente, si fa via via sempre più erboso e selvaggio, si incontrano piccoli centri abitati, che si riconoscono quasi sempre dalla presenza di una scuola lungo il ciglio della strada o di un piccolo ospedale e poi man mano che ci si avvicina a Sen Monorom, ci sono sempre più colline. Questa zona è infatti climaticamente differente perché più fresca, posta a 800 metri di altitudine, la sera regala un po’ di fresco.

In generale la provincia di Mondulkiri è la meno abitata del paese, costituita per lo più da minoranza etnica Bunong, proprio per questo il turismo che sta prendendo piede in questa area cambogiana è legato fondamentalmente all’aiuto delle popolazioni locali. Il giorno prima di lasciare Phnom Penh ho prenotato per una notte presso il Long Vibol Guesthouse, 9 euro la singola senza colazione.

Il minivan ci ha lasciato in quella che ho scoperto essere la via centrale del villaggio.
Appena scesa non avevo chissà quali punti di orientamento a parte la consapevolezza che, guardandomi intorno, le comodità di Phnom Penh erano un lontano ricordo. Alcuni ragazzi in motorino si sono avvicinati per chiedermi dove ero diretta e propormi una camera, nessun taxi né tuc tuc, solo motorini.
Quindi che fai? Sali con il primo che ti ispira fiducia, gli fai vedere l’indirizzo mentre carica te e il tuo zainone sul motorino, rigorosamente con un solo casco (per lui) e speri di farcela anche questa volta.

Mondulkiri

Il Long Vibol dista in realtà un paio di chilometri dalla via centrale ed è un bellissimo hotel immerso nel verde. Il ragazzotto in scooter si è rivelato molto affabile e gentile, ha cercato di vendermi subito qualche escursione e per “liberarmene” in fretta gli ho chiesto un bigliettino dicendogli che non appena sistemata lo avrei eventualmente chiamato. La struttura si presenta con una parte totalmente da costruire di fianco alla zona ristorante/reception, il proprietario è gentilissimo e c’è un servizio ristorante disponibile fino alle 23 di ogni sera.

Il caffè è tremendo, l’unica volta in cui non sono riuscita a finirlo ma per il resto i pochi pasti consumati sono sempre stati buoni e con prezzi accettabilissimi. Le camere sono dislocate rispetto alla struttura centrale, ci sono alcune zone molto carine, verdi, curate e attrezzate con amache e panche per rilassarsi, cosa che ovviamente non ho potuto fare per via del poco tempo.

Alzarsi la mattina nel silenzio più totale e avere la vista giardino è stato bello, anche se per pochissimo.
Dopo essermi velocemente sistemata, mi dirigo molto affamata al ristorante, non c’era praticamente nessuno, fatta eccezione per un altro occidentale. Proprio in quel momento arriva una ragazza dall’aspetto molto italiano che dopo aver chiacchierato un po’ con il proprietario, si avvicina e mi chiede timidamente se sono italiana anche io.

Conosco così Elisa, di Trento, che sarà la mia compagna di avventure e disavventure durante il mio trekking nella jungla! Decidiamo di andare insieme in centro per farci fare qualche preventivo per la nostra escursione che preventiviamo di almeno due giorni. Percorriamo i due chilometro a piedi, utile portarsi una pila perché la sera il buio arriva presto (18,30/19.00) e l’illuminazione è scarsa ovunque.

Mondulkiri-dove-dormire

Lungo la via centrale troverete due solo ATM, alcuni negozi che vendono frutta e verdura, un benzinaio e le tipiche bancarelle cambogiane. C’è anche il mercato, le tribù Bunong vengono qui a vendere i loro prodotti la mattina presto, è il tipico colorato mercato asiatico, la merce è per lo più esposta per terra o sui banchi, è molto piccolo e lo troverete facilmente perché per fare tutta la via centrale ci metterete mezz’ora.
Noi ci siamo recate in due agenzie, poste esattamente una di fronte all’altra.

L’agenzia del WWF, sede esteticamente perfetta e curata, gestita da occidentali e la Green House, posta esattamente sull’altro lato della strada. Scegliamo quest’ultima perché ci aveva dato l’impressione di essere decisamente più local, rimaste affascinate dalla gestione famigliare e anche dalla location.

La Green House infatti è agenzia, ristorante e guesthouse e ha al suo interno un carinissimo giardino.
Abbiamo trascorso qui le nostre due serate, sorseggiando degli ottimi milk shake. Diciamo loro che non siamo interessate né a montare gli elefanti né a fargli il bagnetto, ci interessa fare trekking per due giorni nella jungla e trascorrere una notte in un villaggio locale. Ci dicono che visto che siamo in due possono accontentarci, per una sola persona non si muovono, la maggior parte dei visitatori stranieri prende infatti parte all’escursione che prevede l’opzione elefanti senza personalizzazione di programma.
Ci chiedono 50 dollari che includono una guida per due giorni, tutti i pasti e l’acqua, la notte presso il villaggio Bunong.

Partiamo di buon mattino il giorno dopo alle sette e mezzo, la Green House manda un pick up per noi. L’abbigliamento consigliato è il solito: scarpe da trekking, pantalone lungo, costume per il bagnetto nella cascata, asciugamano, repellente, crema solare e cappellino. Io aggiungo il solito sacco lenzuolo.
L’eccitazione è molta e memore della bellissima esperienza avuta in Laos e nel Borneo, qualche anno prima, strutturata pressoché nello stesso modo, parto piena di aspettative.

Mondulkiri-cascate

L’autista che guidava il fuoristrada parla un inglese ottimo e ci spiega che ci porterà fino ad un punto e poi da lì proseguiremo a piedi e ci rivedremo il giorno dopo, capiamo solo in quel momento che la nostra guida è il ragazzo che siede di fianco all’autista e non parla proprio un ottimo inglese.
Pazienza: fra gesti, sorrisi e mimi, riusciremo a farci capire e la sua gentilezza sarà così squisita da farci dimenticare che ci avevano detto che parlava un inglese eccellente!
Ci dice di chiamarsi Bruce, ovviamente non è il suo nome ma è quello che usa con i turisti. Fa parte dell’etnia Bunong e sarà lui a intercedere per noi una volta arrivate al villaggio.
Il trekking del primo giorno si rivela entusiasmante per la natura, le tante piante che ci mostra e la pace che si respira tutto intorno nonostante il caldo e la fatica. Incontriamo anche molti Bunong che lavorano i campi, vediamo le capanne in cui depositano gli attrezzi e li guardiamo da lontano fare la pausa pranzo seduti fra gli alberi.

Bruce si fa tutto il trekking con le infradito, io mi domanderò per tutto il tempo come fa a non scivolare e sulle spalle porta un cesto di vimini carico di acqua e cibo per noi tre. Procediamo felici con i nostri zaini, chiacchierando, ridendo e ascoltandolo cantare una litania bellissima e incomprensibile che ci farò compagnia in quelle ore.
Ci procura due bastoni tagliando per noi delle canne di bambù e come pranzo per quel primo giorno ci preparerà una zuppa di verdurine cotte dentro la canna di bambù, una volta acceso il fuoco, del riso come contorno e della frutta freschissima.
Mentre lui cucina noi mettiamo i piedi a mollo nell’acqua fresca della cascata, incontriamo un altro piccolo gruppo di francesi e australiani che invece si lanciano in tuffi acrobatici con la loro guida.
Finalmente, verso l’ora del tramonto, dopo sei ore di camminata arriviamo al villaggio Bunong.

Mondulkiri-trekking-strada

L’impatto per me è stato deludente rispetto ai villaggi visti nel Borneo e in Laos, meno autentico come atmosfera ed esteticamente meno bello. Si presenta come un gruppo di case sia in legno che in muratura, sopraelevate rispetto alla terra, con una zona sottostante in cui si cucina e si conservano i viveri e mentre la zona superiore ha le camere da letto.
Sono molti i fuoristrada privati, i motorini e biciclette che vedo vicino ad ogni casa, c’è un padiglione centrale per gli eventi della comunità e un piccolo negozietto che vende un po’ di tutto.
Bruce ci porta nella casa in cui passeremo la notte, tutta in legno, molto carina, costituita da 4 piccole stanze, una per mamma e papà e le altre due per i loro otto figli, la stanza più grande è completamente disadorna, con un tappeto sul pavimento e fa presupporre sia la zona in cui la famiglia si riunisce o passa la maggior parte del tempo durante la giornata.
Elisa ed io dormiremo in una delle stanzette, separate da una tendina dalla camera dei figli e da una sottile parete da quella dei genitori.
Appena arrivate percepiamo la prima nota stonata di quella che era stata una giornata meravigliosa, Bruce ci dice che non si fermerà con noi quella notte e il giorno dopo torneremo a Sen Monorom con suo fratello, il proprietario della casa, che ci accompagnerà per l’ultimo giorno di trekking.
La prima impressione è totalmente negativa, innanzitutto se l’inglese di Bruce è davvero basilare quello del fratello è praticamente incomprensibile e il suo atteggiamento non ispira fiducia. Il suo modo di fare è troppo fisico, la sua prossemica non ha nulla a che vedere con quella dei cambogiani con cui avevo interagito fino ad allora.
Lo troviamo fuori luogo.
A malincuore, salutiamo Bruce e consumata la cena insieme alla famiglia, rimaniamo da sole in casa poiché si recano tutti insieme al matrimonio che si sta celebrando nel padiglione centrale.

Ci preparano i letti e ci dicono che ripartiremo la mattina alle sette e mezzo per continuare il trekking.
Non dormiamo molto quella notte, non ci sentiamo tranquille e il giorno dopo la nostra titubanza verrò ampiamente ricompensata dal fratello di Bruce che giace ubriaco nella stanza adiacente la nostra, con la moglie con cui comunichiamo solo a gesti e che ci fa capire che deve dormire ancora un po’.
Ci innervosiamo e dopo aver atteso una buona ora che questo signore, di cui purtroppo non ricordo il nome, si svegli; chiediamo la colazione ma lui ci chiede dei soldi per darcela. Protestiamo dicendo che avevamo già pagato per tutti i nostri pasti, è palese che sta ancora smaltendo i postumi della sbornia matrimoniale, la tensione ormai è evidente e non c’è alcuna forma di comunicazione possibile fino a che gli chiedo di chiamare l’agenzia ma lui mi dice che non ha soldi nel telefono.

A quel punto sappiamo solo che quest’uomo non ci ispira sicurezza alcuna e non vogliamo trovarci nella jungla con lui ma non sappiamo come venirne fuori. Intanto le sette e mezza dono diventate le nove quando magicamente arriva un’auto guidata dal proprietario dell’agenzia, quello del giorno prima, Mr Sam Nang, che tutto gioviale scende e ci chiede come va.

Denunciamo quanto successo e chiediamo di essere portate via, i due uomini si scambiano poche parole, dopo di ché saliamo in auto, molto sollevate, per tornare a Sen Monorom.
Mr Sam Nang è mortificato, ci offre la colazione una volta arrivate alla Green House e ci dice che lui cerca di distribuire la ricchezza portata dal turismo a tutti gli abitanti della comunità e chi si fida di queste persone ma non riesce ad avere il controllo su tutto.

Mondulkiri-greenhouse

Poco dopo arriva Bruce, che salutiamo con gli occhi a cuore e ci porta a fare un lungo trekking fino alla cascata più grande della zona. La giornata diventa nuovamente fantastica e la disavventura diventa un lontano ricordo. Vediamo anche un elefante con il suo addestratore che riposano tranquillamente nella jungla, godiamo di questa immagine che sembra essere un dono tutto per noi.
Dopo il pranzo bordo cascata, in un’oasi di pace e tranquillità, rientriamo alla base, stanche ma felici.
Questo è stato l’unico momento del mio viaggio in cui ho avvertito un senso di pericolo e sono felice di non essere stata sola.

L’obiettivo della Green House di perseguire un turismo sostenibile è encomiabile, solo qualche attenzione in più ai loro collaboratori non guasterebbe.
Di Bruce ci rimarrà un ricordo bellissimo, una delle persone più umane e ingenue conosciute in viaggio, non dimenticheremo i suoi ringraziamenti per avergli insegnato qualche parola di inglese e la sua gioia sincera nel scoprire delle cose legate alla nostra cultura che per lui sono state una vera sorpresa.
Ci ha anche chiesto se da noi abbiamo le mucche.

Ripartiremo da Sen Monorom il mattino dopo con un pullman che ci riporterà a Phnom Penh e da lì a Battambang, di cui ho raccontato in un altro post.
L’ultima notte, dopo il trekking, la trascorriamo per una questione di comodità alla Green House, il loro hotel è dislocato rispetto al ristorante ma rimane comunque in centro, la camera per 8 dollari in due si rivela assolutamente dignitosa.

Mondulkiri-green-house

Specifico che è sempre con la Green House che abbiamo prenotato il minivan per Battambang, fatelo prima di partire per il trekking perché ce ne sono solo due al giorno e i posti non sono molti.
Disavventura a parte, questa zona della Cambogia merita di essere vista, con il senno di poi mi dispiace non avervi trascorso almeno un giorno in più. Molto diversa dal caos di Siem Reap e di Phnom Penh, può regalare scorci indimenticabile della natura circostante e farti entrare in contatto con le persone che sono state tutte, tranne una, di una gentilezza indimenticabile.

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Informazioni sull'autore
Emanuela, vive e lavora a Lisbona dove si occupa di social media marketing. Ama: sentire la puzza e i profumi delle strade del sud est asiatico, guardare i disegni che fa il latte mentre si mescola al the, sperimentare lo street food anche a costo di reazioni allergiche, andare per mercatini dell'usato e comprare cose inutili. Odia: l'ignoranza, quelli che sui mezzi pubblici non si tolgono lo zaino, le cose lasciate a metà.
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