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10 piatti da non perdere in Veneto

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Questo articolo è stato aggiornato il Novembre 18, 2013

baccala-alla-vicentina

Non c’è regione italiana che non abbia i suoi piatti tipici, con prodotti locali o meno, che importa?, basta che siano stati ufficializzati e adorati dal popolo passato, ma anche da quello contemporaneo.

Per quanto riguarda il Veneto la tradizione spazia grandemente su una lista infinita di specialità adattate provincia per provincia, ma sempre referenti a una ricetta madre che il più delle volte implica un lavoro mediamente lungo ed una cucina a prova di profumini forti, nonostante le ricette siano da considerarsi povere per ingredienti usati. La tradizione veneta non prevede mai cestini di bambù per la cottura a vapore, questo lo sanno tutti! Escludiamo anche la sac à poche, gli stampini di silicone, la planetaria… conosco nonne che inorridirebbero a queste novità (ovviamente dopo aver chiesto cosa significano quelle parole), e conosco anche un folklore che va avanti con la preparazione tradizionale e non con i nuovi mezzi, per fortuna. Il Veneto resterà sempre attaccato alla pazienza delle massaie – messa gravemente alla prova nella preparazione del baccalà alla vicentina, per esempio.

Punta di diamante della nostra classifica dei 10 piatti più famosi del Veneto, il baccalà è sempre stato un supplizio. Oggi come un tempo non è che si poteva dire “voglio il baccalà” a mezzogiorno ed averlo bello pronto la sera: il baccalà doveva(e deve tuttora) stare in ammollo due giorni prima della cottura, e per la cuoca non era tutto questo gran divertimento! Però alla fine che bontà! Ovviamente come dice il nome della ricetta il posto migliore per gustarlo è Vicenza, ma ci sono comunque molte sagre di paese anche in altre province venete che esibiscono con fierezza sui cartelloni pubblicitari la scritta “specialità baccalà alla vicentina”. In questi casi una porzione abbondante di baccalà costa dai 7 ai 10 euro, non di più. E ne vale la pena anche e soprattutto se l’ambiente in cui viene servito è il capannone di una sagra.

Al secondo posto per fama ci sono gli “Xaéti”, tradotto in italiano Zaéti o Zaletti, squisiti biscottini veneziani giallissimi, perché fatti con la farina di mais, dalla consistenza granulosa e molto molto gustosa. Esiste la variante con l’uva passa, che è la più gettonata, e i migliori posti per scovare quest’autentica delizia sono Venezia e le sue isole. Spesso però gli Zaéti sono venduti a prezzi indecenti per sacchettino(10-12 euro – e la quantità è esigua, assicurato), ma basta solo avere un occhio di riguardo ed acquistarli anche presso un semplice panificio(a 3-4 euro) e procedere allegramente al tipico uno-tira-l’altro. Non serve una pasticceria patinata a decretarne la bontà, credetemi.

Al terzo posto troviamo la composizione fissa Poenta e oxèi, quando ‘poenta’ sta per polenta e ‘oxèi’ sta per uccelli. Polenta e uccelli, quindi. Non viene specificata la tipologia di piccolo volatile nel titolo della ricetta poiché i cacciatori veneti prediligono quelli a loro più soddisfacenti per gusto(fuori dalle categorie protette s’intende): la tradizione della caccia è ancora ben radicata nelle campagne e sui colli, e gli spiedini con uccellini e lardo o pancetta con accanto una cucchiaiata di polenta gialla sono ancora visti come un piatto gourmet. Non è facile trovare donne coraggiose abbastanza da occuparsi della pulizia della cacciagione, ma non è affatto una rarità, per un veneto, partecipare ad almeno due cene all’anno all’insegna di poenta e oxèi. Come per il maiale, come dicono i nonni, “non si butta via niente!”, quindi se vi capita di mangiare questo piatto con un Veneto dop non inorridite se lascia fuori solo becco, zampe, ossa e stecchino!

Al quarto posto entra di gran carriera il risotto alla trevigiana, in cui viene appunto impiegato il radicchio di Treviso, dal sapore amarognolo ma perfettamente coinvolgente nel risotto a lui dedicato. Presente solo per una parte dell’anno costituisce l’alternativa a molti primi più semplici come la pasta, perché è possibile procurarsi l’ortaggio a prezzi modici se comprato in casseta, con dei risultati formidabili(il radicchio viene impiegato anche nelle polpette e negli antipasti).

Altro primo importante per la cucina veneta è la pasta e faxòi, tradotto pasta e fagioli, ovvero una minestra di fagioli frullati, dalla consistenza cremosa, con pasta fatta in casa. Praticamente una minestra di fagioli con pasta. Molto gustosa e altamente nutriente(legumi e carboidrati in tale portata spesso bastano e avanzano per fare un pasto completo) è servita in tutte le trattorie rustiche, purtroppo non più negli agriturismi. Un vero peccato, perché nonostante sia frutto di ingredienti poveri (uova, farina, acqua, fagioli, cipolle, sedano e carote) il successo della ricetta è sempre assicurato.

Al sesto posto un altro primo piatto, i risi e bixi. Un’altra minestra di riso, brodo e piselli, ampiamente diffusa fin dai tempi antichi. Le varianti dei risi e bixi si sono espanse in tutto il nord, incontrando ingredienti che si sono aggiunti all’originale, ma la semplicità della ricetta madre resta l’indiscussa regina delle serate invernali nelle cucine venete che hanno ancora un po’ di memoria(e un po’ di pancetta da aggiungere).

Al settimo posto subentra un’altra ricetta tipicamente veneziana: le sarde in saòr. Ricetta amata e odiata (amata dai patiti del pesce marinato e odiata dai nasi fini) per l’alta concentrazione di cipolla e sarde, è tipicamente un piatto marinaro. Per il procedimento della ricetta nemmeno in questo caso si può parlare di facilità: le sarde vanno pulite, lavate, fritte, irrorate con vino e aceto, con aggiunta di pinoli e uvetta, e poi stratificate con la cipolla marinata in una pirofila. Anche le sarde in saòr hanno i loro tempi, ma sono più ‘veloci’ del baccalà – devono riposare in frigo almeno un giorno prima di essere servite. Non sempre proposte nei negozi di gastronomia di pesce, riscuotono i favori di chi non ha problemi di digestione ed ha un palato forte, ma chi le ama le ama alla follia. Mentre chi le odia, non si fa trovare nei dintorni quando ne annusa l’imminente consumazione.

Altro piatto povero veneto è la frittata coi bruscàndoi. I luppoli selvatici hanno varie denominazioni in queste zone: oltre a ‘bruscàndoi’ vengono chiamati anche ‘brustàngoi’, ma se i modi per indicarli sono tanti la ricetta è sempre una: una semplice frittata con quest’erba selvatica raccolta a ridosso dei fossi in primavera. La si usa molto anche nei risotti, e viene pure congelata dagli appassionati del gusto. Questo piatto, però, è difficile da trovare nel menu dei locali!

Passando ad un’altra verdura, e nello specifico agli asparagi bianchi di Bassano, non si può non menzionare il tipico òvi e spàraxi, traduzione uova e asparagi, serviti uno accanto agli altri nel piatto, con olio sale pepe e aceto per condire. Questo sì che è facile. Una vera bontà per chi si accontenta anche dei sapori delicati.. con una spesa minima se oculata.

Non poteva esserci finale migliore se non con un dolce che tipicamente si cucina dalle festività del 1 Novembre fino alla fine del Carnevale, non oltre sennò porta male: le fritòe sono le frittelle dolci piccole e rotonde, fatte con impasto contenente uvetta, mele o quant’altro, tuffate nell’olio bollente. Immancabile lo zucchero a velo prima di servirle, possono essere anche farcite di crema o zabaione.

Un intero ecosistema di piatti nutrienti e saporiti aspetta ogni buon intenditore pronto a sperimentare il meglio della (spesso) lunga lavorazione Veneta. Tantissimi sono i locali rinomati, il più delle volte assolutamente low cost, ma se volete provare più varianti non vi resta che farvi ospitare da vere massaie instancabili! Pagamento? Il lavaggio di piatti e pentole.

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